Il panico: superarlo con l’intervento psicologico strategico

panico

“Un attacco di panico osservato da fuori non significa nulla: il battito del cuore accelerato, il volto pallido, le mani ghiacciate, forse un velo di sudore sul viso, ma passa, passa in fretta, al massimo dura mezz’ora, con due o tre ondate lancinanti e decrescenti. Chi non l’ha provato, non lo sa quanto possa essere lunga e insopportabile quella mezz’ora.”

(Simona Vinci)

 

L’attacco di panico rappresenta il grado di intensità più elevato che può raggiungere la paura. Può presentarsi in seguito a una minaccia percepita nell’ambiente esterno o all’improvviso, senza che si riesca a individuarne la causa. La paura che scatena è di un’intensità tale da essere a sua volta interpretata come un pericolo per la propria integrità fisica e mentale.

Il primo attacco di panico può essere sconvolgente. In seguito, l’idea di poterlo sperimentare di nuovo può spaventare anche più della situazione che lo ha scatenato. Si cerca quindi scongiurare il pericolo attraverso comportamenti che, non di rado, si trasformano nei fattori che strutturano e mantengono il problema nel tempo.

Per questo motivo prima ci si rivolge a uno psicologo più sarà facile vincere gli attacchi di panico! Tuttavia, è possibile intervenire con successo anche sugli attacchi di panico che si manifestano da mesi o anni. L’intervento psicologico ad approccio strategico permette di ottenere risultati in tempi brevi, che non vanno oltre le 10 sedute.

 

Come si manifesta un attacco di panico?

L’attacco di panico si manifesta come una paura intensa e improvvisa, che insorge in assenza di un reale pericolo. La paura determina una serie di sintomi somatici, tra i quali:

  • tachicardia
  • difficoltà respiratorie
  • capogiri
  • formicolii al viso, alle mani o ai piedi
  • aumento della sudorazione
  • brividi
  • nausea
  • dolore al petto

Queste manifestazioni risultano così terrificanti che chi le prova teme di impazzire, di morire o di perdere il controllo e può avvertire sensazioni di irrealtà e di depersonalizzazione (come se osservasse se stesso dall’esterno).

L’attacco di panico generalmente è di breve durata, raggiunge l’apice dopo pochi minuti e si risolve spontaneamente, ma lascia chi lo ha provato in uno stato di grande prostrazione, che fa sentire estremamente vulnerabili.

Le conseguenze di questo tipo di esperienza possono avere un impatto invalidante sulla vita di chi la ha provata: temendo di poter sperimentare nuovi attacchi, cercherà di proteggersi attuando comportamenti che limitano la propria quotidianità e che spesso contribuiscono ad aggravare il problema.

 

I comportamenti disfunzionali

L’intervento psicologico ad approccio breve strategico permette di superare gli attacchi di panico agendo su tre tentativi di soluzione che risultano fallimentari:

  1. L’evitamento delle situazioni che suscitano ansia: evitare le situazioni che spaventano lì per lì fa sentire meglio; nel lungo periodo però fa sentire sempre più incapaci di affrontarle e la paura cresce.
  2. L’eccesso di controllo: le sensazioni che il panico scatena sono più spaventose di qualsiasi minaccia esterna perciò si tenta di tenerle sotto controllo e di combatterle, finendo con l’incrementarle a dismisura. La persona si impegna in un costante monitoraggio delle proprie sensazioni interne, soprattutto nelle situazioni in cui teme che potrebbe verificarsi un attacco di panico, allo scopo di cogliere i segnali che potrebbero preannuciarlo. In questo modo la soglia di percezione di queste sensazioni si abbassa e la loro intensità aumenta, facilitando l’innesco del panico.
  3. La richiesta di aiuto: per affrontare la paura, si chiede il supporto di persone fidate, chiedendo loro di essere accompagnati o delegando i compiti che non si riescono a portare a termine. Lì per lì ci si sente sollevati, ma l’altro diventa una stampella di cui non si riesce a fare a meno e senza la quale ci si sente impotenti.

Queste strategie disfunzionali non solo conducono agli attacchi di panico ma, se protratte nel tempo, li mantengono e li strutturano in un vero e proprio disturbo.

 

L’intervento breve strategico per gli attacchi di panico

L’approccio breve strategico interviene sugli attacchi di panico agendo proprio sulle strategie disfunzionali precedentemente descritte, interrompendole. La persona viene simultaneamente aiutata a sviluppare modalità alternative per gestire la paura, che in questo modo torna ad essere un’emozione utile e funzionale.

L’intervento psicologico si avvale di diverse tecniche, utili per:

  • facilitare la distrazione e il distacco emotivo;
  • interrompere il tentativo di controllare le proprie reazioni fisiologiche;
  • bloccare la richiesta di aiuto e i comportamenti evitanti;
  • facilitare l’esposizione alle situazioni temute;
  • familiarizzare con la paura e le sensazioni che suscita, imparando strategie per evitare che evolvano in panico.

 

Un esempio: la tecnica della “peggiore fantasia”

La tecnica della peggiore fantasia, nota anche come “worst fantasy”, è molto efficace per intervenire sul timore suscitato dalla percezione di quelle sensazioni fisiologiche associate alla paura che preannunciano l’attacco di panico, anche in assenza di una causa esterna scatenante. Si riesce in questo modo a scongiurare quella “paura della paura” che caratterizza chi soffre di attacchi di panico.

Si chiede alla persona di ritirarsi ogni giorno in una stanza tranquilla, di mettersi comoda, abbassare le luci e creare un’atmosfera rilassante. A questo punto dovrà programmare una sveglia, affinché suoni dopo mezzora. In questo lasso di tempo, si dovrà calare in tutte le peggiori fantasie rispetto a ciò che più spaventa, lasciandosi andare a tutto ciò che viene da fare: piangere, urlare, disperarsi… L’importante è rimanere lì per tutta la mezzora, in compagnia delle proprie peggiori fantasie, sia che si stia male, sia che non succeda nulla. Nel momento in cui la sveglia suona, stop. Finisce tutto. Si alza, si lava il viso e torna alla propria giornata.

Gli effetti

La peggiore fantasia ha, per la maggior parte delle persone che soffrono di attacchi di panico un effetto paradossale: evocando volontariamente tutte le peggiori fantasie relative agli attacchi di panico, si sperimenta uno stato di rilassamento. Qualcuno arriva persino ad addormentarsi durante la mezzora!

In altre parole, toccando con mano i propri fantasmi invece di rifuggirli, questi svaniscono. Inoltre, si sperimenta come, rinunciando al controllo e lasciandosi andare alle sensazioni che spaventano, queste si attenuano o addirittura non si manifestano.

La tecnica prevede un’evoluzione che permette di arrivare a utilizzarla prima di affrontare un’esperienza che spaventa o quando la paura si presenta all’improvviso, evocando i propri timori per pochi minuti.

Questo tipo di apprendimento richiede la guida di uno psicologo adeguatamente formato all’approccio breve strategico. Solo un esperto, infatti, saprà coniugare la peggiore fantasia ad altre tecniche utilizzate nell’intervento per gli attacchi di panico, adattandole alla situazione specifica della persona che ha di fronte.

 

Un falso mito sull’Approccio Breve Strategico

La citazione riportata all’inizio di questo articolo è tratta dal libro “Parla, mia paura”, scritto da Simona Vinci. Nel testo, l’autrice accenna alla possibilità di superare gli attacchi di panico attraverso un intervento psicologico di tipo breve strategico, ma afferma che, sebbene questo approccio si riveli per moltissime persone utile e risolutivo, a volte capita che “i sintomi si spostino”. Cosa significa?

Spesso, l’approccio strategico viene erroneamente considerato un approccio “sintomatico”, che si limita ad intervenire sui sintomi che creano disagio, eliminandoli. Da qui l’idea che in seguito potranno svilupparsi nuovi sintomi, come espressione di un disagio più profondo, che non è stato esplorato o affrontato. Ad esempio, non si manifestano più attacchi di panico ma si inizia a soffrire di gastrite.

Ma è davvero così? Assolutamente no. L’intervento psicologico ad approccio breve strategico non lavora solo sull’estinzione del sintomo, ma aiuta la persona a sviluppare nuovi strumenti per interagire e gestire la realtà in modo funzionale e flessibile. Quando l’attacco di panico è espressione di un disagio più complesso (ma non sempre lo è), quest’ultimo viene affrontato fino alla risoluzione del problema.

 

A proposito di miti: Pan e il “timor panico”

L’etimologia del termine “panico” si rifà alla mitologia greca, in particolare a Pan. Pan era un semidio, un satiro, per metà uomo e per metà capra: munito di corna e coda, barba folta, busto umano e zampe caprine irsute che terminavano negli zoccoli. Il suo aspetto era così spaventoso che, alla nascita, perfino la sua stessa madre lo rifiutò.

Il mito narra che Pan fosse attratto dalle ninfe, bellissime fanciulle che inseguiva nei boschi parandosi davanti a loro all’improvviso, lasciandole sgomente e incapaci di gestire l’intensa emozione che provavano. Pan inoltre terrorizzava i suoi nemici emettendo un urlo agghiacciante, che li lasciava in uno stato di angoscia, paralizzati e incapaci di reagire. Il satiro compariva senza avvisaglie, inaspettatamente, e altrettanto velocemente scompariva, mentre le sue vittime restavano lì inermi, incapaci di spiegare l’accaduto.

Da qui il concetto di “timor panico”, per riferirsi al timore improvviso e incomprensibile che gli antichi ritenevano causato dall’incontro con il semidio. Ai giorni nostri, come le ninfe e i nemici di Pan, chi sperimenta un attacco di panico si confronta con una paura improvvisa e paralizzante, che atterrisce e lascia senza fiato.