DEPRESSIONE

La depressione è una prigione dove siete sia il prigioniero della sofferenza che il carceriere crudele.

(Anonimo)

Depressione

Il termine depressione è ormai entrato nel linguaggio comune e viene spesso utilizzato in modo improprio per riferirsi a un’ampia varietà di condizioni che possono produrre uno stato d’animo avvilito: “oggi sono un po’ depresso”, “l’inverno mi fa venire la depressione” sono frasi che sentiamo pronunciare quotidianamente intorno a noi, ma raramente (per fortuna!) coincidono con una condizione di depressione clinica.

Il DSM, il manuale diagnostico di riferimento per i professionisti della salute mentale, descrive diverse forme di depressione, tutte accomunate da un abbassamento del tono dell’umore accompagnato da sintomi somatici e cognitivi che incidono in modo significativo sulla capacità di funzionamento dell’individuo.

Il “disturbo depressivo maggiore” rappresenta la condizione più frequente ed è caratterizzato da almeno un episodio, della durata di almeno due settimane, in cui è presente quasi tutti i giorni, per la maggior parte del giorno, umore depresso (tristezza, senso di vuoto, disperazione) o perdita di interesse o piacere per tutte o quasi tutte le attività; devono inoltre manifestarsi almeno quattro sintomi tra alterazioni del peso, dell’appetito o del sonno, agitazione o rallentamento psicomotorio, faticabilità o mancanza di energia, sentimenti di autosvalutazione e colpa eccessivi o inappropriati, ridotta capacità di concentrazione e di pensiero, pensieri ricorrenti di morte o ideazione suicidaria.

Tra i disturbi psicologici, la depressione è tra quelli maggiormente diagnosticati e per cui vengono prescritti più psicofarmaci ed è considerata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità tra i più invalidanti.

Depressione “con causa” e “senza causa”

In passato, oltre a valutare i sintomi sopra descritti, gli specialisti ponevano una distinzione tra la depressione “con causa”, nella quale i sintomi si manifestano a seguito di eventi di vita critici, e la depressione “senza causa”, nella quale i sintomi emergono e permangono indipendentemente dalle esperienze di vita della persona. Nel primo caso, la sintomatologia poteva essere considerata una reazione naturale, che poteva estinguersi spontaneamente entro un periodo di tempo variabile, sulla base dell’evento scatenante e delle risorse della persona; al contrario, laddove non si evidenziasse nessuna situazione che potesse giustificare la depressione si ipotizzava un’origine organica, uno squilibrio biochimico che rendeva necessaria la terapia farmacologica.

A partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, questa distinzione è venuta meno, ma risulta ancora utile al fine dell’intervento psicologico, dove è importante considerare che l’esordio di molti stati depressivi è legato a situazioni specifiche quali lutti, separazioni, delusioni sentimentali e lavorative o traumi. La depressione quindi, spesso, non è una “malattia” bensì una reazione a situazioni di disagio o di difficoltà o l’esito finale di altre problematiche che non sono state affrontate adeguatamente.

La “depressione” come reazione: i fattori scatenanti più frequenti

Tristezza, senso di vuoto, pensieri negativi, pessimismo, perdita del piacere, insonnia, demotivazione, agitazione, scarso appetito, mancanza di energia, autosvalutazione, senso di colpa, sensazione di non riuscire a fare qualsiasi cosa, nemmeno a pensare e a concentrarsi: si tratta innanzitutto di reazioni comuni e inizialmente non patologiche alle esperienze di perdita. La morte di una persona cara, la diagnosi di una malattia grave, la perdita del lavoro, la rottura di una relazione affettiva, l’abbandono da parte del partner sono tutte situazioni in cui si sperimenta un forte dolore e fanno parte della vita di ognuno di noi.

Uno stato depressivo può inoltre manifestarsi come conseguenza di altre difficoltà e problemi di carattere psicologico, che si cronicizzano e appaiono senza via di uscita: è il caso ad esempio di molte persone che soffrono di attacchi di panico, che giorno dopo giorno tendono a condurre una vita sempre più ritirata a causa delle difficoltà ad affrontare l’ambiente esterno e a relazionarsi con gli altri, rischiando di sviluppare progressivamente la depressione per via dell’isolamento e del senso di incapacità che ne deriva.

Le dottoresse Muriana, Pettenò e Verbitz, ricercatrici del Centro di Terapia Strategica di Arezzo, nel libro “I volti della depressione” evidenziano inoltre come la formazione della depressione segua spesso la sequenza “illusione – delusione – depressione”: è la depressione che nasce da una credenza infranta – “non sono più come pensavo di essere”, “gli altri mi hanno deluso”, “il mondo non è come dovrebbe essere”. Succede qualcosa che non si pensava potesse accadere – un insuccesso, un tradimento, un’aspettativa delusa – e all’improvviso si sente franare il terreno sotto ai piedi e si ha la sensazione di non avere gli strumenti per comprendere e affrontare la realtà, che può solo essere subita e non più gestita.

La risposta depressiva rappresenta una reazione attesa in tutte le circostanze descritte e, in un primo momento, ha la funzione di recuperare le energie consumate dal dolore e dallo stress e di favorire il supporto sociale, permettendo nel tempo di riorganizzare le proprie risorse fisiche, emotive e mentali. È così che gradualmente può subentrare la motivazione a fare qualcosa per uscire dalla situazione avversa, agendo in prima persona o cercando aiuto.

Ma allora quando preoccuparsi e rivolgersi a un professionista?

 

Depressione: i comportamenti che la strutturano e la mantengono

 La rinuncia è un suicidio quotidiano”

(Honoré de Balzac).

L’approccio strategico ha individuato alcuni comportamenti che le persone depresse manifestano in maniera sistematica; si tratta di strategie che tutti si trovano in una certa misura ad adottare di fronte a situazioni particolarmente stressanti e dolorose, ma che rischiano di strutturare una vera e propria depressione quando vengono mantenute nel tempo ed escludono altre possibilità di percezione, pensiero e azione.

Rinunciare

La rinuncia è l’atteggiamento che accomuna le diverse forme di depressione, dove si ritrova in ogni ambito della vita della persona. La rinuncia spesso deriva dal confronto con eventi che non possono essere modificati, come ad esempio un lutto, o con problemi che appaiono senza soluzione (un insuccesso, un disagio psicologico, difficoltà relazionali): ci si sente impotenti e a un certo punto si smette di reagire, o non ci si prova nemmeno. Ed è proprio la resa che conferma l’impotenza e decreta l’impossibilità di cambiare le cose o anche solo di stare meglio. La persona non prende iniziative e non mostra interesse verso le opportunità che la vita le offre, focalizzando l’attenzione solo su ciò che non va; ritiene impossibile qualsiasi cambiamento e perciò non prova a modificare le circostanze in cui si trova che in questo modo non possono che mantenersi inalterate o peggiorare.

Rimandare

Quando si sta male, si parte dal presupposto che non si possa fare nulla finché non si starà meglio – “Quando passerà questo periodo riprenderò a uscire…”, “Adesso non me la sento, affronterò il problema quando mi sentirò pronto…”, “Oggi sono troppo stanca, magari domani…”. Analogamente alla rinuncia, anche il procrastinare innesca un circolo vizioso mantenuto dall'inazione: più si aspetta senza fare nulla per modificare la propria situazione, più la situazione si mantiene inalterata, si cronicizza o si complica, così che diventa sempre più difficile intervenire per cambiarla. Un esempio classico è quello di chi soffre per la solitudine e, invece di impegnarsi in attività che consentirebbero di allargare la propria rete sociale, aspetta (restando chiuso in casa o frequentando gli ambienti di sempre) di conoscere qualcuno con cui poter condividere quelle attività: poiché è improbabile conoscere persone nuove restando sul divano di casa, il risultato è che la persona continuerà a essere sola e a fare la vita di sempre, non verrà in contatto con persone nuove e avrà sempre maggiori difficoltà a stringere amicizie, convincendosi che la sua situazione sia impossibile da modificare.

Lamentarsi

In un primo momento, il lamento è normale e utile: attira l’attenzione delle altre persone, le preoccupa, le porta a offrire aiuto e a prodigarsi per far sentire meglio chi soffre. Ma cosa succede quando il lamento è continuo e persistente? Ci sono due conseguenze importanti: innanzitutto, più ci si rivolge agli altri, più ci si sente incapaci di gestire la situazione in prima persona e questo conferma la sensazione di impotenza; inoltre, dopo un po’, le altre persone, per quanto provino affetto per la persona in difficoltà, sentiranno il bisogno di tenerla a distanza o di liquidarla con frasi di circostanza, facendola sentire sola e incompresa.

Delegare

È la conseguenza dei tre comportamenti descritti prima, per cui si lascia fare agli altriciò che sembra troppo difficile o troppo impegnativo, a cominciare dalle piccole cose… spesso proprio quelle piccole cose che rappresenterebbero un passo importante per evitare di sprofondare nell’abisso! La disponibilità degli altri nell’immediato offre sollievo, poiché alleggerisce da piccoli e grandi oneri quotidiani, ma alla lunga conferma l’incapacità di fare da sé. Un’altra forma di delega è quella che viene data al farmaco: ci si limita ad assumere antidepressivi senza intraprendere alcun percorso che aiuti a lavorare su se stessi e a modificare quelle modalità disfunzionali di interpretare le situazioni e di reagire alle esperienze della vita che sono alla base di molte forme di depressione.

Chiudersi in se stessi

È spesso una reazione alle parole di incoraggiamento degli altri che, nel tentativo di consolare il depresso, cercano di stimolarlo a reagire e a “pensare positivo”. Per la persona che si trova in uno stato depressivo, seguire questi consigli risulta impossibile e ascoltarli conferma ancora una volta la propria incapacità, il senso di impotenza e la sensazione che nessuno sia in grado di capire fino in fondo. Talvolta è una forma di rinuncia: “la mia situazione è così disperata che nessuno può aiutarmi, inutile perfino parlarne”. La strategia diventa quindi la completa chiusura e al dialogo con gli altri si preferisce il continuo rimuginio interiore su tutto ciò che non va o che non è andato come sarebbe dovuto andare: un vero e proprio veleno che, se non trova un canale per poter defluire, finisce con l’intossicare la mente.

Attraverso questi comportamenti, nel tempo si costruisce una realtà sempre più difficile e soverchiante che fa sentire la persona relegata al ruolo di vittima. Se in un primo momento possono essere funzionali a tirare il fiato e a riorganizzare le proprie risorse, quando persistono troppo a lungo complicano la situazione fino a strutturare e a mantenere uno stato depressivo da cui sembra impossibile uscire. Per questo motivo, se ci si rende conto metterli in atto in modo sistematico è fondamentale cercare di modificarli e rivolgersi a un professionista.

La consulenza psicologica strategica nella depressione

Di fronte a una sintomatologia depressiva evidente e persistente, è fondamentale intraprendere un trattamento di tipo psicoterapeutico, unito a quello farmacologico nel caso in cui la depressione sia severa o cronica.

Nelle forme più lievi, o quando di fronte a un evento critico si ha la sensazione di non riuscire a reagire e si manifesta una sempre maggiore inclinazione verso i comportamenti che rischiano di strutturare una depressione, la consulenza psicologica strategica può aiutare la persona a riattivare e a potenziare le proprie risorse, aiutandola a riconoscere i tentativi di soluzione che rischiano di peggiorare il problema, a lavorare su emozioni quali la tristezza, la rabbia, il rimpianto e il senso di colpa, e guidarla a muovere piccoli passi per assumere un ruolo attivo nella propria vita.

Anche i familiari o il partner di una persona che manifesta sintomi depressivi possono beneficiare di una consulenza psicologica strategica, che li aiuterà a individuare quelle forme di aiuto che, seppur messe in atto con le migliori intenzioni, conducono agli effetti peggiori, alimentando il senso di impotenza, le rinunce, la rabbia e i pensieri negativi che affliggono il proprio caro: la consulenza psicologica strategica permetterà di individuare strategie più funzionali per relazionarsi con chi soffre, al fine di condurlo ad assumersi la responsabilità del cambiamento e ad intraprendere in prima persona un percorso di cura e supporto.