Ipocondria o ansia di malattia: come sopravvivere alla paura di morire?

ipocondria

Anche vivere è cancerogeno. 

(Woody Allen)

L’approccio strategico ha messo a punto interventi psicologici basati su protocolli costruiti ad hoc per superare l’ipocondria, ovvero l’ossessione per le malattie e la paura di morire. L’obiettivo è quello di recuperare un sano rapporto con il proprio corpo e con le proprie sensazioni, ripristinando uno stato di benessere psico-fisico. Sopravvivere alla paura di morire, o di ammalarsi, è davvero possibile!

 

Soffri di ipocondria?

Hai spesso il dubbio, se non la convinzione, di aver contratto qualche malattia? Ti sottoponi spesso a visite mediche ed esami diagnostici, ma anche se confermano che sei in buona salute non riescono mai a rassicurarti del tutto? Interpreti ogni minimo segnale del tuo corpo come il potenziale sintomo di una grave patologia? Ti affidi ad estenuanti ricerche in Google per capire di cosa potresti soffrire?

E se fosse… ipocondria?

Prendersi cura della propria salute è senza dubbio un’ottima abitudine; tuttavia, quando diventa un’ossessione che poggia sulla preoccupazione costante di essere malati, può diventare un problema.

L’ipocondria si caratterizza per l’apprensione ossessiva per la propria salute e per la tendenza ad interpretare segnali fisici innocui, alterazioni fisiche di lieve entità o persino le normali funzioni corporee come segni di una grave patologia, senza che vi sia una giustificazione medica.

Questa condizione accomuna tutte quelle situazioni fondate sulla convinzione di essere affetti da malattie fisiche gravi e potenzialmente letali, che persiste nonostante gli accertamenti medici diano risultati confortanti.

In questi casi, sebbene le presunte malattie siano immaginarie, la sofferenza che ne deriva è assolutamente reale. La paura delle malattie, della morte, del dolore fisico, di sintomi fastidiosi e persistenti produce infatti un costante stato di allerta e una condizione di sofferenza psicologica intensa. Inoltre, nel lungo periodo, lo stress dettato dall’ansia di ammalarsi può contribuire all’esordio di  alcune patologie organiche.

A mantenere e ad esasperare il problema contribuiscono proprio quei comportamenti che la persona mette in atto nel tentativo di risolverlo. Questi “tentativi di soluzione“, disfunzionali, diventano pertanto il focus dell’intervento psicologico strategico.

 

Ipocondria: cosa fa chi ne soffre?

La persona che ha un elevato livello di ansia rispetto alla propria salute mette in atto alcuni comportamenti tipici:

 

1. Controlla eccessivamente e monitora il proprio corpo.

L’attenzione si concentra sulle presunte sensazioni anomale, che vengono così amplificate anche a partire da funzioni del tutto normali. Lievi alterazioni della sudorazione e del battito cardiaco, ad esempio, o piccoli dolori dovuti a innocue e temporanee tensioni muscolari vengono percepiti come sintomi allarmanti.

2. Si sottopone a ripetuti controlli medici.

Nell’ipocondria, le visite, i controlli e le procedure diagnostiche a cui la persona si sottopone non risultano mai sufficienti. Vengono ripetuti più volte e senza un oggettivo bisogno. Anche risultati del tutto rassicuranti, che confermano il proprio stato di buona salute, non riescono ad alleviare l’ansia.

Il sollievo dura al massimo qualche giorno, dopo di che nella mente si risveglia il tarlo del dubbio: “il medico potrebbe essersi sbagliato, in fondo l’errore umano è sempre possibile…”; “e se lo strumento non fosse abbastanza sensibile?”; “e se avessi una malattia talmente subdola che nemmeno le indagini più sofisticate riescono a individuarla?”; “forse non ho descritto bene i miei sintomi al medico, ho dimenticato dei dettagli, e così lui ha sottovalutato la situazione…”; “e se…..?”… Ed è così che si entra nella spirale di accertamenti pressoché infiniti.

3. Fa ricerche in Internet.

Nella migliore delle ipotesi, il dr. Google conferma i timori di chi lo consulta; molto più spesso ne aggiunge di nuovi, costruendo nel giro di pochi “click” una patologia rara a prognosi certamente infausta.

4. Parla dei suoi timori.

La salute e le malattie diventano il principale oggetto di conversazione con i familiari e con gli amici;  più se ne parla, più la paura viene amplificata. Inoltre, i tentativi di rassicurazione da parte degli altri si rivelano fallimentari o non sono comunque sufficienti a sedare fino in fondo la preoccupazione.

5. Evita

Più raramente, si osserva un comportamento contrario ai precedenti, rappresentato dall’assoluto evitamento delle visite mediche, degli esami diagnostici e degli ospedali. La persona evita anche i normali controlli di routine o ignora i sintomi per paura di ricevere una diagnosi grave.

 

Qual è il risultato?

Il paradosso è che tutti questi comportamenti che la persona mette in atto nel tentativo di scongiurare la possibilità di ammalarsi e di sedare la propria ansia non fanno altro che ottenere l’effetto opposto.

L’ipocondriaco vive infatti una condizione di stress psicofisiologico costante, determinato non solo dalla paura di contrarre qualche malattia ma anche dallo stato di apprensione che vive nell’attesa dei risultati dei controlli.

È noto che lo stress può aumentare la vulnerabilità a diverse condizioni patologiche (a questo proposito, consiglio la lettura di questo libro); anche sottoporsi ad indagini mediche invasive con eccessiva frequenza non è privo di rischi. Ed è così che chi soffre di ipocondria arriva a realizzare ciò che più teme: ammalarsi.

Anche la strategia dell’evitamento, più rara,  si rivela disfunzionale, in quanto amplifica la paura dei controlli.  Inoltre, più si rifugge da una corretta prevenzione e si trascura la propria salute, maggiore è il rischio di sviluppare una malattia che avrebbe potuto essere evitata e di trovarsi costretti a intervenire quando si manifesta in modo conclamato.

 

L’intervento strategico nell’ipocondria

Come fare a uscire dal vortice di ansia, visite, controlli, malattie e ancora, ansia, visite, controlli, malattie? È possibile guarire dall’ipocondria?

L’approccio strategico si avvale di protocolli studiati appositamente per questo problema. Si interviene sui comportamenti disfunzionali che la persona mette in atto, così da interromperli e guidarla verso un rapporto sano con il proprio corpo.

Come nel trattamento di altre problematiche, anche nell’ipocondria l’intervento strategico prevede la prescrizione di esperienze concrete che la persona deve compiere tra una seduta e l’altra, nella vita quotidiana.

La manovra di elezione si rifà alla tecnica della “prescrizione del sintomo” di Milton Erickson, che consiste nel chiedere alla persona di mettere in atto il comportamento sintomatico di cui si vuole liberare o le strategie disfunzionali che sta utilizzando.

 

Un esempio: il “check-up ipocondriaco”

Il “check-up ipocondriaco” è una tecnica che si utilizza per intervenire sul costante ascolto e controllo del corpo. Consiste nel chiedere alla persona di eseguire una meticolosa esplorazione del proprio corpo un certo numero di volte nell’arco della giornata, a orari prestabiliti;  ogni volta dovrà annotare i sintomi rilevati e le possibili malattie a cui potrebbero essere associati.

La tendenza all’ascolto e al controllo del corpo, che nell’ipocondriaco diventa un automatismo, viene così resa volontaria: la persona non la mette in atto “perché non può farne a meno” ma lo fa volontariamente, in uno spazio e in un tempo prestabilito. Il compito inoltre obbliga la persona ad ispezionare il proprio corpo anche quando non ne sente il bisogno, rendendo questo comportamento insopportabile.

Gli esiti possibili sono due: nel primo caso, la persona non esegue la prescrizione e abbandona il comportamento problematico (e quindi smette di controllarsi e ascoltarsi continuamente); in alternativa, esegue la prescrizione e torna ad essere in grado di controllare il proprio corpo in modo volontario e funzionale, solo in caso di effettiva necessità.

Inoltre, la ricerca deliberata dei segnali di malattia negli appuntamenti prefissati e con le modalità prescritte permette alla persona di familiarizzare con le normali alterazioni e con i naturali cambiamenti del corpo. In questo modo, i segnali del normale funzionamento corporeo cessano di scatenare reazioni ansiose e non vengono interpretati come “sintomi”.

A questa tecnica se ne aggiungono altre che, in un breve arco di tempo, aiutano la persona a superare la paura delle malattie e convivere con l’idea della morte, recuperando uno stato di benessere psicofisico.

 

Chi fa da sé…: strategie per non aggravare l’ipocondria

Per il “check-up”, come per la maggior parte delle tecniche che utilizza l’approccio strategico, è sconsigliabile il fai-da-te!

Nel caso in cui si pensi di soffrire di ipocondria, il consiglio è sempre quello di affidarsi a uno psicologo, che è in grado di porre una diagnosi corretta, conosce i protocolli di intervento e può adattarli alle esigenze specifiche della persona che ha di fronte, anche sulla base delle reazioni che le prescrizioni producono.

Inoltre, talvolta l’ipocondria può derivare da alcune esperienze traumatiche, come una malattia grave vissuta in prima persona o da una persona cara, la cui elaborazione potrebbe richiedere ulteriore supporto.

Esistono comunque alcune indicazioni che è possibile seguire per evitare di amplificare il problema:

  • Evitare di parlare delle paure rispetto alla salute e alle malattie: l’ipocondria trae beneficio dalla “congiura del silenzio”!  Al contrario, più si parla delle proprie paure più si nutre l’ansia che ne deriva.
  • Non cercare in Google le risposte ai propri dubbi (o la conferma delle proprie convinzioni…): facendolo, il problema peggiora. Internet ci sommerge di informazioni, dice tutto e il contrario di tutto e la nostra mente è più portata a credere a ciò che conferma le nostre ipotesi (“potrebbe essere una terribile malattia!”) rispetto a ciò che potrebbe confutarle.
  • Non chiedere rassicurazioni: è facile sperimentare che, per quanto gli altri cerchino di fornire rassicurazioni, i loro tentativi non bastano a tranquillizzare chi soffre di ipocondria. Se prendono sul serio i timori che la persona esprime, la paura si esaspera; se cercano di convincerla ad essere razionale o rispondono con ironia la fanno sentire incapace e incompresa. Del resto, se il buon senso fosse sufficiente a risolvere tutti i problemi, a cosa servirebbero gli psicologi?

 

Ipocondria, ansia di malattia o “Disturbo da sintomi somatici”?

Il termine “ipocondria” deriva da deriva dal greco ὑποχόνδρια (ὑπό=sotto e χονδρίον=cartilagine del diaframma costale): dietro alle ultime costole e sottostanti alla porzione laterale del diaframma si trovano infatti gli “ipocondri”, le porzioni dell’addome dove si trovano il fegato, a destra, e la milza, a sinistra.

Nell’antica Grecia si credeva che l’addome fosse la sede della “bile nera”, il cui accumulo determinava quello che Ippocrate definì “il male degli ipocondri”, caratterizzato da spossatezza, melanconia e paura di morire.

Oggi si preferisce parlare di Disturbo da ansia di malattiae di “Disturbo da sintomi somatici”. Il primo indica una condizione connotata da una forte ansia riguardante il proprio stato di salute e dalla preoccupazione di avere o di poter contrarre una grave malattia; non sono però presenti sintomi somatici oppure si tratta di sintomi di lieve intensità, rispetto ai quali l’apprensione è eccessiva o sproporzionata.

Nel Disturbo da sintomi somatici”, invecela persona avverte chiaramente uno o più sintomi fisici, che possono essere più o meno dolorosi, specifici o aspecifici (es. spossatezza) e che talvolta si rivelano delle normali sensazioni corporee. In ogni caso, provocano un disagio significativo, in termini di pensieri sproporzionati e persistenti circa la gravità degli stessi e uno stato di allarme e ansia costanti per la salute o per le sensazioni provocate dai sintomi.